Antonio Inoki

Nel 1984, mentre la Apple commercializzava il Macintosh, primo computer casalingo dotato di interfaccia grafica, a casa mia non c'era ancora il tv color ma solo un vecchio Mivar bicromatico, otto canali memorizzabili, sintonia manuale, niente telecomando. Sul lato destro aveva una specie di plafoniera con otto tasti, alcuni nerissimi in quanto mai utilizzati, altri decisamente sbiaditi perchè corrispondenti ai pochi canali disponibili: RAI UNO, RAI DUE, Canale 5 e Italia 1, quest'ultima "ospitata" sulle frequenze di un'emittente regionale. Si, perchè a quei tempi la futura Mediaset non poteva, a rigor di legge vigente, trasmettere programmi su tutto il territorio nazionale e per aggirare tale ostacolo operava attraverso una "interconnessione" virtuale: tutte le emittenti locali del network trasmettevano, alla stessa ora, gli stessi programmi.

Così come non esistevano i colori, il telecomando, il digitale terrestre, il bouquet di sky e puttanate simili, non esisteva nemmeno il Wrestling. O meglio: esisteva, ma l’ambientazione era il Giappone e in Italia lo si conosceva col nome di Catch, visto che i match erano trasmessi da Italia 1 e commentati dal precursore di Dan Peterson, Tony Fusaro. È proprio al programma di Fusaro, intitolato "Catch the Catch", che si deve l’equivoco sul nome della disciplina. I protagonisti dei match avevano nomi altisonanti tipo Tiger Mask, Giant Baba, Hulk Hogan, Andrè the Giant, ma il vero personaggio era il giapponese Antonio Inoki.

Antonio Inoki soleva giungere sul ring vestito di un mutandone nero e portando un asciugamano al collo. Aveva lo sguardo fiero, un fisico slanciato ed un carisma fuori dal comune. Nel corso della sua carriera partecipò a centinaia di combattimenti e ad alcuni incontri-esibizione contro pugili famosi ottenendo un pareggio contro Muhammad Ali (1976) ed una vittoria contro Leo Spinks (1986). Combattere in coppia con Inoki era per chiunque una garanzia di vittoria: quando dagli spalti i giovani giapponesi in estasi iniziavano ad urlare "I-no-ki, I-no-ki, I-no-ki", il combattimento poteva dirsi concluso.

Insomma, Antonio Inoki era un vero mito. C’era quel nome che suonava tanto strano quanto potrebbe suonare Hidetoshi Marzullo, quelle mutande nere molto vintage, quel fisico imponente e… quella scucchia impressionante.

posted by Schloss Adler @ 19:43,

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