Una lapide per Mauro De Mauro

La storia dell'Italia Repubblicana è costellata di una serie di vicende oscure: Piazza Fontana, Ustica, la stazione di Bologna, il Vajont, il Golpe Borghese, il Piano Solo, Enrico Mattei, Luigi Tenco, Luigi Calabresi, Pier Paolo Pasolini, Michele Sindona, Roberto Calvi, la banda della Magliana, il mostro di Firenze, la banda della Uno bianca. Nomi di luoghi, nomi di persone che rimandano immediatamente a una locuzione entrata nel linguaggio quotidiano: Misteri d'Italia. In un libro che trae il titolo da questa espressione, Massimo Centini scrive che "mistero è una parola che in certi casi inquieta, qualche volta spaventa, spesso affascina. Se questa parola è abbinata al nostro Paese, allora acquista toni che sono destinati a suggerire una diversa chiave di lettura della storia, dei fatti grandi e piccoli sui quali si basa la nostra memoria." A volte, spesso a distanza di molti anni dai fatti, su questi Misteri d'Italia si aprono degli squarci di luce, si accertano verità parziali, ma rimangono comunque dei fatti non spiegati, delle zone d'ombra. Come nel caso della sparizione di Mauro De Mauro.

La sera del 16 settembre 1970 Mauro De Mauro, all'epoca giornalista de "L'Ora" di Palermo, aveva appena parcheggiato la sua BMW nei pressi della sua abitazione, in via delle Magnolie, quando sua figlia Franca lo vide parlottare con tre uomini e poi risalire a bordo dell'auto che ripartì sgommando. L'auto fu ritrovata il giorno dopo a qualche chilometro di distanza dall'abitazione di De Mauro con le chiavi ancora inserite nel cruscotto, un chiaro segnale in tutti i casi di lupara bianca. Da allora di Mauro De Mauro non si seppe più nulla. Ci furono oltre vent'anni di silenzio poi, dopo le stragi mafiose del 1992, i primi pentiti iniziarono a rilasciare dichiarazioni: parlarono Gaspare Mutolo, Tommaso Buscetta, Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia, Gaetano Grado e infine, nel 2001, Francesco Di Carlo. Il padrino di Altofonte raccontò ai magistrati che De Mauro "fu ucciso perché aveva scoperto che Borghese e la mafia si erano alleati per il golpe" e che l'omicidio fu ordinato da Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Salvatore Riina dopo un incontro avvenuto a Roma tra gli esponenti di Cosa Nostra, il principe Junio Valerio Borghese e alcuni rappresentanti dei Servizi Segreti Militari. Gli esecutori materiali del delitto furono Emanuele D'Agostino, Stefano Giaconia e Bernardo Provenzano: salirono in macchina con De Mauro, abbandonarono la BMW in via Pietro D'Asaro e poi, a bordo di un'altra auto, proseguirono verso un casolare di Santa Maria del Gesù, il regno di Stefano Bontate. Qui De Mauro fu torturato e interrogato, poi venne strangolato. Di Carlo raccontò che il corpo del giornalista fu sepolto nei pressi della foce del fiume Oreto ma nonostante le ricerche effettuate a seguito delle sue rivelazioni, i resti di De Mauro non sono mai stati ritrovati.

L'8 agosto 2007 è stato pubblicato 'Ndrangheta eversiva, ultima fatica di Arcangelo Badolati, Capo Servizio della Gazzetta del Sud che, come De Mauro, si è trovato spesso a indagare su fatti di cronaca nera. Badolati, basandosi su una serie di atti della Questura e della Procura di Catanzaro nonchè sulle dichiarazioni del boss Antonio De Sensi, fornisce una possibile soluzione all'enigma del cadavere scomparso. Nell'agosto del 1971 la Questura di Catanzaro rese noto il ritrovamento del corpo di un uomo, ormai in avanzato stato di decomposizione, rinvenuto in una buca scavata sulle montagne di Conflenti, piccolo centro in provincia di Catanzaro. Il cadavere venne riconosciuto dal figlio dell'uomo, Federico Belvedere, come appartenente a Salvatore Belvedere, pregiudicato evaso dal carcere di Lamezia Terme nel giugno del 1970. Nell'aprile del 1978 la Procura di Catanzaro comunicò a tutte le Questure d'Italia che persistevano forti dubbi sull'identificazione del cadavere e che le ricerche di Belvedere dovevano riprendere. Si arrivò, quindi, al 1984 quando il già citato De Sensi rivelò a un investigatore che il corpo ritrovato a Conflenti non era quello di Salvatore Belvedere ma, bensì, di Mauro De Mauro. Secondo De Sensi la sostituzione del cadavere, decisa di comune accordo da alcuni esponenti di vertice della 'Ndrangheta e di Cosa Nostra, avrebbe avuto la duplice finalità di agevolare la latitanza di Belvedere e di risolvere il problema della definitiva sparizione del corpo di De Mauro. Si tratta di una tesi senza dubbio suggestiva che tuttavia trova almeno una conferma nelle dichiarazioni rese nel 2001 da Maria Bellone, vedova di Ezio Calaciura, collega di De Mauro nella redazione de "L'Ora" morto in uno strano incidente stradale nel marzo del 1973 in Calabria. La signora Bellone disse che dopo la scomparsa di De Mauro suo marito aveva iniziato a indagare per conto proprio sulla vicenda e aggiunse di aver nutrito sin dal principio dei forti dubbi sulla tesi dell'incidente automobilistico. Dubbi che le furono confermati quando, a poco tempo dalla morte di Calaciura, alcuni esponenti di Cosa Nostra le offrirono una grossa somma di denaro in cambio del rottame dell'auto.

Quando Ugo Foscolo si trovò, in polemica con il poeta francese Guillon, a fornire una interpretazione autentica del suo carme "Dei Sepolcri", scrisse che i monumenti funebri, "inutili ai morti, giovano ai vivi, perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene." Forse per dare ai parenti di Mauro De Mauro una lapide sulla quale piangerlo basterebbe un esame del DNA.

posted by Schloss Adler @ 10:04,

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